Con l’avvento della digitalizzazione e la diffusione capillare del software, la disciplina giuridica dei contratti legati alla tecnologia ha acquisito un’importanza centrale. Tra i vari strumenti contrattuali, la licenza d’uso del software emerge per la sua capacità di bilanciare i diritti del creatore con le necessità dell’utilizzatore. Non si tratta, infatti, di una compravendita, ma di una formula contrattuale che consente al licenziante di mantenere la titolarità del bene immateriale, concedendo al licenziatario un diritto d’uso ben limitato e regolamentato.
Dal punto di vista giuridico, il contratto di licenza d’uso del software si colloca tra i contratti atipici, in quanto non trova una disciplina diretta e organica nel nostro ordinamento, ma si sviluppa combinando norme del diritto d’autore con principi contrattuali generali. La sua funzione primaria non è quella di trasferire la proprietà del software, bensì quella di concedere al licenziatario il diritto di utilizzarlo in conformità alle condizioni stabilite dal licenziante.
Un esempio concreto può forse chiarire meglio questa configurazione: quando acquistiamo un software gestionale per la nostra azienda, non ne diventiamo proprietari. In realtà, accettiamo una licenza che ci permette di utilizzare quel programma esclusivamente per scopi lavorativi, senza poterlo modificare, rivendere o duplicare. Questo perché l’oggetto del contratto non è il software in sé, ma il diritto d’uso del programma, spesso subordinato a rigide condizioni.
Nella maggior parte dei casi, la licenza d’uso è concepita come contratto oneroso, in cui l’utente corrisponde un compenso per ottenere il diritto d’uso del software. Ma in realtà tale forma di contratto ben può assumere anche carattere gratuito, come avviene, ad esempio, nel contesto delle licenze open-source (premere qui per approfonidre) o di applicativi distribuiti a scopo promozionale. Un esempio emblematico è quello dei software educativi concessi gratuitamente alle scuole o alle università: qui, il licenziante non mira a un guadagno immediato, ma a promuovere il proprio prodotto o a perseguire obiettivi di responsabilità sociale.
Ad ogni modo, la gratuità del contratto non modifica la sua natura giuridica, poiché la licenza resta un accordo volto a concedere un diritto d’uso. La gratuità piuttosto si configura come una scelta discrezionale del licenziante, spesso utilizzata per incentivare la diffusione del software o fidelizzare gli utenti.
A ben vedere, la licenza d’uso presenta diverse analogie con il contratto di locazione, disciplinato dall’art. 1571 del Codice civile, che, com’è noto, definisce la locazione come un contratto in cui una parte si obbliga a far godere a un’altra una cosa per un determinato periodo e verso un corrispettivo. Ora, trasponendo questo schema al mondo del software, potremmo giungere a considerare il programma come il “bene” concesso in godimento, mentre il corrispettivo (quando previsto) rappresenta il canone di locazione.
Ad esempio, pensiamo alle licenze annuali per software di grafica professionale. Il licenziatario paga una quota periodica per poter utilizzare il programma, ma al termine del periodo concordato il diritto d’uso viene meno, salvo rinnovo del contratto. Questo meccanismo riproduce, in chiave immateriale, la struttura tipica di una locazione.
Uno degli aspetti più rilevanti del contratto di licenza d’uso è senza dubbio il suo legame indissolubile con il diritto d’autore. Il licenziante, infatti, conserva sempre la titolarità del software, proteggendolo da utilizzi non autorizzati o lesivi. Ciò è particolarmente evidente nei contratti che adottano modelli EULA (End User License Agreement), nei quali le condizioni d’uso sono descritte in modo minuzioso, al fine di prevenire abusi e ambiguità. Ad esempio, un software antivirus potrebbe includere clausole che vietano la sua installazione su più dispositivi rispetto a quelli consentiti dalla licenza. Se il licenziatario viola tali condizioni, il licenziante ha il diritto di revocare l’uso del programma, mantenendo intatta la sua posizione di titolarità.
Un caso peculiare di licenza è poi quello che caratterizza il mondo del software open-source. Qui, il creatore mette a disposizione il programma senza richiedere un compenso economico, spesso autorizzando anche modifiche e distribuzioni successive. Ma, anche in questi casi, il licenziante può imporre condizioni specifiche, come l’obbligo di mantenere aperto il codice sorgente nelle versioni derivate. Un tale tipo di licenza è la dimostrazione perfetta di come l’intento liberale possa convivere con una solida tutela giuridica.
La licenza d’uso del software è duqnue uno strumento giuridico indispensabile per regolamentare il rapporto tra creatori e utenti in un mondo sempre più digitalizzato. La sua flessibilità la rende adatta a una vasta gamma di situazioni, dal software aziendale a quello open-source, dalle applicazioni professionali a quelle educative.
Per approfondire
- C. ROSSELLO, I contratti dell'informatica nella nuova disciplina del software, Milano, 1997;
- G. FINOCCHIARO, I contratti informatici, Padova, 1997;
- G. ALPA, V. ZENO ZENCOVICH, I contratti di informatica, Milano, 1987;
- R. ZALLONE, Informatica e telematica: i nuovi contratti di servizi, MIlano, 2003;
- I. IASELLI, I contratti informatici, Roma, 2003;
- P. DI SALVATORE, I contratti informatici, Napoli, 2000;
- B. MUSTI, I contratti a oggetto informatico, Milano, 2008;
- R. D’ARRIGO, Prospettive della c.d. licenza a strappo nel nostro ordinamento, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, 1996, p. 462 e ss.;
- V. FROSINI, Riflessioni sui contratti d’informatica, in Informatica e Diritto, 1996, p.167 e ss.
Nicola Nappi
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