In tema di termine breve di impugnazione, esso decorre soltanto in forza di conoscenza legale del provvedimento da impugnare e cioè in forza di una conoscenza conseguita per effetto di una attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o che ella stessa ponga in essere, la quale sia normativamente idonea a determinare da sé detta conoscenza o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale.
Sebbene l’interesse dell’ordinamento nello stabilire il termine lungo per l’impugnazione non sia quello di garantire alle parti un adeguato spatium deliberandi ma quello di regolare temporalmente il regime di stabilità delle decisioni giurisdizionali, dalla disciplina dell’art. 327 cod. proc. civ. deriva il diritto delle parti di giovarsi dell’intero arco temporale per accettare il giudicato o proporre impugnazione; a tale ultimo fine è necessario l’accesso al testo integrale della sentenza mediante la richiesta e il rilascio della relativa copia, così che, dove si ritenesse che da tale richiesta e rilascio, ricompresi nell’ambito di una attività conoscitiva interna svolta dalla parte, possa decorrere il termine breve di cui all’art. 325 cod. proc. civ. anche in difetto dell’attività acceleratoria e sollecitatoria prevista con tali finalità dall’art. 326 cod. proc. civ., si finirebbe per ledere il diritto derivante dall’art. 327 cod. proc. civ.
Pertanto, il termine per l’impugnazione non può decorrere dalla comunicazione della cancelleria o da qualsiasi attività alla stessa equipollente, se non sia espressamente prevista tale decorrenza.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8296 del 27 marzo 2024.
Daniele Giordano
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