Con la sentenza n. 24418/10, le Sezioni Unite della Cassazione affermavano testualmente che: “… non può, pertanto, ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento che l’attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. Né tale conclusione muta nel caso in cui il pagamento debba dirsi indebito in conseguenza della accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione del quale è stato effettuato […] se dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono registrati”.
Se ne deduce che non può esservi ripetizione se non sussiste pagamento; il termine decennale di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito decorre dalla data dell’annotazione in conto, solo se il versamento affluisce su un conto passivo non affidato ovvero su di un conto affidato il cui saldo debitore supera i limiti dell’affidamento; diversamente, quando si tratti di versamenti ripristinatori della provvista, cioè effettuati entro i limiti del fido oppure in presenza di conto attivo, la prescrizione decorre dalla chiusura del conto.
Ciò posto, bisogna altresì, rilevare che, in termini generali, l’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi su fatti allegati dalla parte, ancorché suscettibili di diversa qualificazione da parte del giudice.
Ne consegue che il debitore, ove eccepisca la prescrizione del credito, ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine ai sensi dell’art. 2935 c.c. “restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso, conosciuto attraverso un documento prodotto ad altri fini da diversa parte in causa” (Cass. n. 16326/2009).
L’eccezione di prescrizione costituisce eccezione in senso proprio, e come tale deve essere sollevata dalla parte, alla quale soltanto spetta di specificare i fatti che ne costituiscono il fondamento, compresa la data di inizio del decorso del termine prescrizionale (Cass. n. 3578/2004; cfr. altresì Cass. n. 4468/2004).
Con specifico riferimento alla fattispecie di cui si discute, la Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 4518/14, ha chiaramente interpretato i principi espressi dalla sopra richiamata pronuncia delle SS.UU., stabilendo che “i versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens e, poiché tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto, una diversa finalizzazione dei singoli versamenti, o di alcuni di essi, deve essere in concreto provata da parte di chi intende far percorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste illegittimamente addebitate”.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Nola, Giudice Lucia Paura, con la sentenza n. 863 del 26 aprile 2022.
Nel caso di specie accadeva che una società citava in giudizio una banca con la quale aveva stipulato un contratto di conto corrente sostenendo che la stessa avrebbe incassato somme non dovute a titolo di anatocismo, commissioni di massimo scoperto, interessi maturati in conseguenza della capitalizzazione trimestrale e che l’istituto di credito avrebbe omesso di inviare al correntista le comunicazioni inerenti alle variazioni dei tassi d’interesse con la conseguente invalidità dei tassi d’interesse applicati per omessa pubblicità;
La correntista deduceva, pertanto, la nullità del rapporto contrattuale intercorso tra le parti anche con riferimento alla decorrenza delle valute.
Si costituiva la banca che eccepiva l’improcedibilità, l’inammissibilità, la prescrizione ed in ogni caso, nel merito, l’infondatezza in fatto ed in diritto, oltre che la mancanza di prova delle medesima.
In seguito, si costituiva anche la banca cessionaria in veste di interventore volontario ai sensi degli artt. 105 e 111 c.p.c., in quanto cessionaria del ramo di azienda della banca con la quale l’attore aveva stipulato il contratto di conto corrente.
Il Tribunale, ritenendo che le domande formulate fossero inammissibili e comunque non provate le rigettava e condannava gli attori alle spese.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
INDEBITO BANCARIO: LE ANNOTAZIONI IN C/C DI UNA POSTA D’INTERESSI NON COSTITUISCONO PAGAMENTI
NON VI CORRISPONDE ALCUNA ATTIVITÀ SOLUTORIA IN FAVORE DELLA BANCA
Ordinanza | Tribunale di Trani, dott. Nicola Milillo | 24.07.2017 |
INDEBITO: SE IL CLIENTE NON PROVA L’AFFIDAMENTO LE RIMESSE SI INTENDONO SOLUTORIE
LA PRESCRIZIONE DECENNALE DECORRE DAL SINGOLO VERSAMENTO
Sentenza | Tribunale di Bari, dott. Savino Gambatesa | 21.05.2015 | n.2353
RIPETIZIONE INDEBITO: IL CLIENTE DEVE PROVARE LA FUNZIONE SOLUTORIA DEI VERSAMENTI
INSUFFICIENTE LA SOLA PRODUZIONE DEGLI SCALARI
Sentenza | Tribunale di Treviso, dott. Casciarri | 30.11.2014 | n.2430