La Banca Popolare di Crapanzano Terme aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale un decreto ingiuntivo nei confronti dell’ Ing. Esposito, suo correntista, avente ad oggetto il saldo risultante dalla esposizione debitoria dell’ingegnere.
L’ingegnere ha resistito proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo la quale, però, gli è stata rigettata con sentenza che andava quindi a confermare il decreto ingiuntivo. Ha dunque proposto appello avverso detta sentenza invocando la nullità di varie voci del credito azionato dalla Banca in quanto espressione di una capitalizzazione degli interessi passivi compiuta in violazione del divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c., ma il giudice di seconde cure gli ha dato torto accogliendo le difese dell’istituto di credito che sostanzialmente evidenziava come l’art. 1283 c.c. facesse salvi gli usi contrari, i quali dunque avrebbero potuto consentire una produzione composita trimestrale degli interessi in conformità agli usi da tempo vigenti.
L’ingegnere è stato dunque costretto a proporre ricorso per cassazione ponendo l’accento sulla differenza tra quelli che sono gli usi normativi e quelli negoziali.
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La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, sottolineando proprio la differenza ontologica tra gli usi normativi, cui rinvia in punto d’eccezione l’art. 1283 c.c., e gli usi negoziali, vigenti in materia di contratti bancari, riprendendo il principio già espresso dalla stessa Corte nella sentenza n. 12507/1999, in base al quale la configurabilità di un uso normativo richiede due requisiti, l’uno – di natura oggettiva – consistente nella uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento, l’altro – di natura soggettiva o psicologica – consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, di modo che venga a configurarsi una norma – sia pure di rango terziario, in quanto subordinata alla legge e ad i regolamenti – avente i caratteri della generalità e della astrattezza. L’esigenza del requisito soggettivo deve reputarsi imprescindibile, posto che altrimenti si ridurrebbe il fenomeno consuetudinario al rango di mera prassi.
Nell’affermare tale principio, la Suprema Corte ha dunque escluso la natura di uso normativo delle norme bancarie uniformi emanate dall’A.B.I., qualificandole come usi negoziali ex art. 1340 c.c., perché imposte al cliente sulla base di una prassi, sia pure ineludibile in quanto richiesta dall’istituto bancario mediante clausole uniformi e predisposte.
La Suprema Corte, poi, ha richiamato un altro principio, sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 21095/2004, in base al quale in epoca antecedente l’emanazione del d.lgs. n. 342/1999, che ha novellato l’art. 120, comma 2°, T.U.B., la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente deve reputarsi nulla, in quanto si basa su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non su un uso normativo (ex artt. 1 e 8 delle preleggi al codice civile), come esige l’art. 1283 c.c., laddove prevede che l’anatocismo non possa ammettersi in mancanza di usi contrari. Lo stesso eventuale inserimento della clausola nel contratto in conformità alle c.d. norme bancarie uniformi, predisposte dall’A.B.I., non esclude la suddetta nullità, poiché anche a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali e non quello di usi normativi. Infatti, di fronte alla pratica generalizzata degli istituti di credito di inserire nei contratti bancari, per di più stipulati con moduli prestampati a cura delle banche, la capitalizzazione trimestrale degli interessi, l’atteggiamento mentale della stragrande maggioranza dei clienti non è quello di accettazione di una pattuizione ritenuta conforme ad un precetto giuridico, ma piuttosto quella di una sorta di adesione necessaria ad una clausola imposta dal contraente più forte.
Nè, ancora, può dirsi che l’opinio iuris circa l’obbligatorietà della capitalizzazione trimestrale possa derivare dal costante orientamento giurisprudenziale, anteriore al revirement del 1999, generalmente incline ad ammettere la natura di uso normativo alla capitalizzazione trimestrale, sì da indurre i consociati a ritenere la doverosità giuridica di tale forma di anatocismo: la funzione assolta dalla giurisprudenza in materia di usi normativi (allo stesso modo che per le norme di rango primario) non può essere altro che quella ricognitiva dell’esistenza e dell’effettiva portata della norma, e non dunque anche una funzione creativa della regola stessa in grado di conferire normatività ad una prassi negoziale contra legem.
Nicola Nappi
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