Il dott. Sbirighella, noto imprenditore nel settore della produzione di auanaghena industriale, ha proposto azione giudiziale nei confronti della Banca Popolare di Crapanzano per aver visto lesa la sua integrità morale.
Nello specifico, l’imprenditore aveva estinto un conto corrente da lui precedentemente acceso presso la Banca, ma dopo qualche anno, su un carnet di assegni collegato a quel rapporto di conto corrente, ma mai richiesto né ritirato dal dott. Sbirighella, furono tratti con firma visibilmente artefatta cinque assegni bancari di considerevole importo, successivamente protestati perché non pagati dalla Banca trattaria in mancanza di provvista.
Il dott. Sbirighella ha agito quindi in giudizio contro la banca per ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti in conseguenza della condotta della convenuta, soffermandosi in particolare sulla sua qualità di imprenditore iscritto nel registro per gli appalti e le gare pubbliche ed il conseguente discredito professionale sofferto, oltre alla difficoltà di reperire ulteriori prestiti e finanziamenti presso gli istituti di credito, notoriamente restii a concedere affidamento a debitori protestati.
La banca ha proposto la sua difesa basata sul fatto che l’attore avrebbe dovuto fornire la prova della circostanza per cui, se un soggetto è operatore commerciale, diventa automaticamente, con la pubblicazione del suo nome nel bollettino dei protesti, soggetto non solvibile e non affidabile, con conseguente gravissimo danno non soltanto alla reputazione economica del soggetto, ma anche alla sfera relativa alla personalità dell’individuo.
Il Tribunale ha però dato ragione all’imprenditore sostenendo la non necessarietà di tale prova.
La banca ha dunque proposto appello, ma anche qui è risultata soccombente.
La banca ha proposto anche ricorso per cassazione il quale però è stato rigettato.
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La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha richiamato due principi già espressi, il primo nella sentenza n. 6732/2005 con il quale ha affermato che l’imprenditore che ha subito l’illegittimo protesto di un assegno bancario ha diritto al risarcimento, da parte della banca, del danno non patrimoniale conseguente alla lesione della sua reputazione professionale, anche in mancanza dell’accertamento di un fatto di reato, in quanto la violazione della dignità sociale e professionale dell’imprenditore costituisce lesione di un valore costituzionalmente protetto; il secondo nella sentenza n. 15224/2010, con il quale ha affermato che la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno medesimo, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del pregiudizio conseguente; elementi questi che possono essere provati anche mediante presunzioni semplici, fermo però restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio.
Nicola Nappi
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