L’obiettivo di questa breve trattazione non è quello di analizzare, ma semplicemente di portare alla luce talune delle questioni che rivestono il maggiore interesse per gli interpreti, riguardanti questa categoria eterogenea di negozi giuridici a contenuto patrimoniale, il cui comun denominatore sembrerebbe essere, in effetti, una qualunque specie di collegamento con le tecnologie informatiche e/o telematiche.
Ed è proprio dalla definizione che si è appena tentato di dare, che deriva la prima evidente, ed annosa, criticità, che è proprio di carattere definitorio. I contratti informatici, infatti, sono stati spesso annoverati in un’unica, grande e forse troppo estesa, categoria. Inizialmente, infatti, per qualificare un contratto informatico bastava il solo fatto che esso avesse un qualche collegamento con le tecnologie informatiche e/o telematiche.
Già nel 1989, infatti, il Prof. Alpa ben evidenziava come all’ora si solesse ricondurre in tale categoria tanto i contratti aventi ad oggetto beni e servizi informatici quanto i contratti in cui l’informatica costituisse il mezzo di rappresentazione della volontà negoziale.
Ma era il 1989, appunto, e ci si trovava ancora agli albori dell’era di internet, che soltanto nel 1996 assunse una dimensione planetaria. Ed è dunque col passare del tempo, ed in particolare con il relativo incremento della consapevolezza tecnologica che si è giunti ad individuare meglio quei punti di contatto esistenti tra il diritto dei contratti e l’informatica, arrivando così a distinguere quelli che sono i c.d. contratti informatici in senso lato, che comprendono tutti i contratti che fondano la loro causa sull’informatica (si pensi ad esempio ai contratti di utilizzazione degli strumenti informatici, o ai contratti di acquisizione, elaborazione e diffusione di dati a mezzo di strumenti informatici, definiti come contratti “ad oggetto informatico”) da quelli che sono i c.d. contratti informatici in senso stretto, che comprendono invece solo i contratti propriamente conclusi con gli strumenti informatici.
E’ nel novero dei contratti informatici in senso stretto che autorevoli autori hanno elaborato varie e diverse definizioni come quella di contratti “telematici”, con riferimento a quei contratti nei quali la proposta e l’accettazione, pur provenendo direttamente ed esclusivamente dai contraenti, vengono trasmesse, dall’uno all’altro, per via telematica, oppure come quella di contratti “cibernetici”, con riferimento a quei contratti che vengono invece conclusi automaticamente tra un soggetto e un computer o direttamente tra due o più computer (ove la stessa formazione della volontà contrattuale è opera del computer senza più alcun intervento umano, successivo alla sua programmazione) o ancora come quella di contratti “digitali”, con riferimento a quei contratti che vengono stipulati interamente in forma elettronica, senza cioè ricorrere all’utilizzo di documenti cartacei, neppure per la loro sottoscrizione, che avviene, appunto, in forma elettronica (firma elettronica, firma digitale, ecc.).
Chiarito l’aspetto definitorio, va ora posta l’attenzione sulla rilevante problematica relativa alla formazione della volontà contrattuale delle parti in un “ambiente” informatico. Il Prof. Natalino Irti nella “Rivista trimestrale di Diritto e Procedura Civile” del 1998 pubblicava un celebre saggio intitolato “Scambi senza accordo” nel quale veniva posto in evidenza come la contrattazione telematica, essendo impossibile ricorrere ai tradizionali strumenti rivelatori dell’esistenza di un accordo, nonché a parametri empiricamente riscontrabili per intrepretare la volontà dei contraenti, porterebbe appunto proprio ad una forma di scambio senza accordo. Tesi portata a livelli estremi da parte della dottrina che ha invocato, nella contrattazione telematica, il difetto dell’incontro delle volontà delle parti a causa della carenza del dialogo tra le parti stesse (sulla necessità del dialogo nella conclusione del contratto si consiglia caldamente di leggere G. Oppo, “Disumanizzazione del contratto?” in “Rivista Diritto Civile”, 1998, pag. 525, con la replica sulla stessa rivista, 1999, pag. 274, di N. Irti, “E’ vero ma…”).
Ma anche qui ci trovavamo agli albori dell’era di internet, e tali teorie certamente non tenevano in debita considerazione le nuove modalità “informatiche” della formazione dell’accordo che, proprio per la loro capacità di provocare inediti e sempre più diffusi incontri delle volontà contrattuali, finiscono con il rafforzare la valenza dell’accordo nella contrattualistica informatica. Non risulta difficile constatare, infatti, che l’incontro tra proposta e accettazione può ben avvenire mediante uno scambio di e-mail tra i contraenti.
Ma nei contratti, come ben ci insegna il compianto Prof. Bianca, l’accordo può anche essere tacito, qualora cioè le parti non utilizzino segni di linguaggio, ma comportamenti concludenti per manifestare le loro volontà contrattuali (si pensi ad esempio al caso in cui, in caso di compravendita on-line di un bene, l’acquirente invia il proprio numero di carta di credito al venditore per il pagamento anticipato della merce). Ipotesi tipica, in tal senso, è quella del c.d. point and click, e cioè di un contratto che si verifica quando il contraente conclude l’accordo con la semplice pressione di un “tasto negoziale”. Vi è da dire, però, che per una parte della dottrina il c.d. point and click anziché comportamento concludente, potrebbe assumere il significato di una dichiarazione espressa della volontà contrattuale, esternata in forma di bit e, quindi, con riconosciuti segni di linguaggio. Ciò che conta, infatti, è l’esternazione della manifestazione del consenso mediante segni di linguaggio, ed il tasto negoziale virtuale potrebbe ritenersi uno strumento comunicativo ormai socialmente riconosciuto, fondato sul linguaggio del bit (sul punto si veda: “Sulla qualificazione giuridica del bit”).
Una ulteriore e ben rilevante criticità si rinviene nell’individuazione del luogo di conclusione del contratto nonché nell’individuazione dei soggetti contraenti. E a tale problematica sono strettamente connesse, come ben si può immaginare, tutta una serie di ulteriori criticità.
Se infatti la concreta identificazione del luogo di conclusone del contratto non pone particolari problemi nell’ambito dei rapporti contrattuali maturati nel mondo “reale”, dal momento che il contratto si conclude nel luogo in cui il proponente ha notizia dell’accettazione dall’oblato (basta individuare, quindi, di volta in volta, il luogo fisico in cui avviene la ricezione dell’accettazione), non può certo dirsi lo stesso per i rapporti contrattuali maturati nel mondo “virtuale”.
Applicando infatti il principio appena richiamato, si rischierebbe di giungere alla radicale conclusione che il contratto informatico debba considerarsi concluso nel luogo in cui si trova il dispositivo del proponente nel momento in cui riceve l’accettazione. Ma non è difficile notare la debolezza di tale impostazione. Basti pensare, ad esempio, al caso in cui l’accettazione dovesse arrivare via e-mail. Il proponente, infatti, ben potrebbe aver configurato la propria casella di posta elettronica su dispositivi diversi, che ben potrebbero essere collocati in luoghi diversi, o potrebbero addirittura trovarsi in movimento, rendendo così estremamente difficile stabilire quale sia l’esatto luogo di conclusione del contratto. Ed allora, parte della dottrina, per far fronte a tale problema, muovendo dal presupposto che non è richiesta la conoscenza dell’accettazione, ma soltanto la sua conoscibilità, ha ritenuto di far coincidere il luogo di conclusione con quello in cui si trova il server del provider in cui giunge l’accettazione dell’oblato. L’orientamento maggioritario, però, facendo proprio il suggerimento del Model Law of Electronic Commerce dell’UNCITRAL, ha individuato il luogo di conclusione del contratto in quello in cui il destinatario ha la sua sede principale, prescindendo quindi dal luogo in cui è posto il dispositivo ricevente (vi è da dire che, normalmente ogni utente sceglie il provider più vicino al luogo in cui risiede o conduce i suoi affari, al fine di risparmiare sui costi di connessione, e pertanto il luogo di conclusione del contratto ben potrebbe coincidere con quello in cui si trova la sede principale del proponente).
Ora, venendo invece al tema dell’individuazione dei soggetti contraenti, dal momento che tali tipi di contratti, come visto, vengono conclusi tra soggetti fisicamente distanti, è quanto mai opportuno porsi il problema dell’imputabilità e dell’integrità delle dichiarazioni negoziali provenienti dai soggetti coinvolti nella conclusione del contratto, nonché del valore giuridico di tali dichiarazioni In altre parole, come possono essere sicuri i contraenti che dall’altro lato dello schermo si trovi esattamente la propria controparte, e non un altro soggetto?
Il tema è estremamente affascinante, e sul punto si sono espressi autorevoli giuristi, del resto l’imputabilità e l’integrità delle dichiarazioni sono fondamentali ai fini della validità di un contratto informatico, ma qui ci limitiamo ad evidenziare come i maggiori problemi si pongano soprattutto laddove i contraenti non utilizzino firme elettroniche, e questo in quanto a livello legislativo (ex multis, Reg. (UE) 910/2014) è riconosciuta a questi strumenti una specifica efficacia e valore giuridico, infatti laddove si utilizzi una firma elettronica di più alto livello (si pensi, ad esempio, alla firma digitale), la stessa garantirebbe la piena imputabilità ed integrità delle dichiarazioni negoziali. In mancanza, invece, dovrà necessariamente invocarsi il tradizionale principio dell’affidamento, con i relativi problemi (sul punto vedasi: “Sull’efficacia probatoria del documento informatico”).
Altra criticità, poi, è rappresentata dall’individuazione della disciplina applicabile. Anche qui si ribadisce che lo scopo di questa breve trattazione è semplicemente quello di elencare i problemi relativi alla conclusione dei contratti informatici, senza avere la pretesa di volerli analizzare, anche perché anche con riferimento a tale ultima criticità individuata, sono stati numerosissimi, sia in dottrina che in giurisprudenza, i tentativi di riconduzione talvolta alla disciplina dei contratti tipici (si pensi alla vendita, alla locazione, all’appalto, o al contratto d’opera) e talaltra, a quella dei contratti atipici, che trova le sue basi nel principio di libertà contrattuale ex art. 1322 c.c.
Nicola Nappi
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