La recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) di ieri, 17 ottobre 2024 (Causa C-302/23) offre un chiarimento cruciale in merito al valore probatorio della firma elettronica nei procedimenti giudiziari, nell’ambito del Regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS). Questa sentenza rivela un delicato equilibrio tra il principio della parità di trattamento delle firme elettroniche e la discrezionalità degli Stati membri nella gestione delle loro infrastrutture digitali. Al centro della questione, vi è la facoltà dei giudici nazionali di accettare atti processuali firmati digitalmente anche in assenza di specifiche attrezzature tecniche. Analizziamo quindi i punti salienti del caso e le implicazioni della sentenza.
Contesto Normativo: Regolamento eIDAS e il Caso Polacco
Il regolamento eIDAS ha il duplice scopo di facilitare la fiducia nelle transazioni elettroniche e di stabilire un quadro giuridico uniforme per l’uso di firme elettroniche e servizi fiduciari. Gli articoli 25 e 2 del regolamento specificano che una firma elettronica, indipendentemente dalla sua qualificazione, non può essere respinta come prova per il solo motivo della sua forma elettronica. Tuttavia, il caso C-302/23 ha sollevato un’importante domanda pregiudiziale: gli organi giurisdizionali degli Stati membri sono tenuti ad accettare una firma elettronica anche se il sistema informatico non è predisposto per il deposito elettronico?
In questo caso, un giudice polacco ha rifiutato un atto processuale depositato digitalmente e firmato con firma sicura, non essendo il tribunale dotato del sistema tecnico richiesto per accettare tale modalità di deposito. La controversia ha posto in discussione il margine di flessibilità degli Stati membri nel riconoscere le firme elettroniche nei loro procedimenti interni, nel rispetto dei vincoli imposti dal regolamento.
I Principi Esaminati dalla Corte
La Corte di Giustizia ha ribadito che:
- il Regolamento eIDAS non impone agli Stati membri di dotarsi di sistemi informatici specifici per accettare firme elettroniche. Questo significa che l’obbligo di ammissione delle firme elettroniche come prova non obbliga le giurisdizioni nazionali a prevedere strumenti tecnici ad hoc per il deposito di tali documenti;
- libertà di stabilire le modalità di deposito: pur sancendo il principio che alle firme elettroniche non può essere negata efficacia per la loro forma digitale, il regolamento lascia agli Stati la libertà di stabilire modalità formali di deposito e le necessarie procedure tecniche per il loro trattamento;
- non discriminazione e limitazione dell’obbligo: la Corte ha riconosciuto che il rigetto della firma elettronica non è “per il solo motivo della sua forma elettronica” se, in base alla normativa nazionale, il rifiuto è giustificato dalla mancanza di sistemi informatici predisposti. Pertanto, non vi è violazione del principio di non discriminazione verso l’uso della firma elettronica.
Interpretazioni e implicazioni della sentenza
Effetti giuridici e uniformità parziale: la sentenza chiarisce che l’articolo 25 del Regolamento eIDAS garantisce l’equivalenza giuridica tra firma elettronica qualificata e firma autografa, ma non obbliga i tribunali a utilizzare infrastrutture digitali specifiche per l’accettazione di firme elettroniche. Di conseguenza, l’implementazione pratica della firma elettronica nei tribunali dipenderà dal contesto tecnico di ciascun Paese.
Gestione delle formalità procedurali: un ulteriore elemento di rilievo è il riconoscimento del diritto degli Stati a mantenere formalità procedurali proprie. La sentenza afferma che il regolamento eIDAS non interferisce con le norme nazionali che specificano le modalità di deposito degli atti. La Polonia, in questo caso, mantiene la facoltà di determinare i requisiti procedurali, inclusa la possibilità di accettare o meno firme elettroniche a seconda della disponibilità dei sistemi tecnici.
Bilanciamento tra innovazione e sovranità nazionale: da un lato, il regolamento eIDAS promuove l’interoperabilità e la sicurezza delle transazioni elettroniche nel mercato unico; dall’altro, questa sentenza conferma il diritto degli Stati membri di decidere il livello di digitalizzazione dei propri tribunali. Tale bilanciamento evita che l’armonizzazione delle norme sul digitale si traduca in un obbligo invasivo per i Paesi meno attrezzati tecnologicamente.
Conclusione: un’Innovazione giuridica graduale
La decisione della Corte di Giustizia traccia una linea chiara: il regolamento eIDAS stabilisce una base di equivalenza giuridica per la firma elettronica, ma la responsabilità dell’infrastruttura tecnica resta nazionale. Questa flessibilità permette agli Stati di adattarsi progressivamente alle innovazioni digitali, senza sacrificare il principio di autonomia organizzativa dei loro sistemi giudiziari. Tuttavia, la sentenza apre anche la strada a potenziali sviluppi futuri: con l’aumento delle transazioni digitali, la predisposizione di sistemi informatici adeguati nei tribunali diventerà una necessità improrogabile per molti Stati.
Il risultato? La firma elettronica guadagna terreno come elemento fondamentale del procedimento giudiziario moderno, ma la sua implementazione dovrà avanzare di pari passo con le effettive capacità tecnologiche dei singoli Paesi.
Daniele Giordano
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