La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1760 di ieri, 15 gennaio 2025, ha affrontato un tema di estrema attualità: la possibilità di sottoporre a sequestro probatorio le criptovalute come profitto di un reato tributario. Il provvedimento in esame assume particolare rilievo in un contesto normativo in evoluzione, in cui le monete virtuali rappresentano una sfida interpretativa e applicativa per il diritto penale.
La vicenda trae origine dal sequestro probatorio disposto nei confronti di un soggetto indagato per il reato di omessa dichiarazione ex art. 4 D.lgs. 74/2000. Il Tribunale del riesame aveva confermato il decreto di sequestro emesso dalla Procura della Repubblica, avente ad oggetto un quantitativo di Bitcoin, convertiti in euro per un controvalore di circa 120.000,00 euro, corrispondente all’imposta evasa per l’anno 2021.
Il ricorrente ha impugnato tale provvedimento deducendo la violazione di legge sotto due profili:
- erronea qualificazione della criptovaluta come profitto del reato, in quanto la valuta virtuale non può essere assimilata alla moneta avente corso legale;
- carente motivazione dell’ordinanza impugnata, che si era limitata ad accogliere la tesi della pubblica accusa senza confrontarsi con le argomentazioni difensive.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo fondati i rilievi difensivi. In particolare, ha evidenziato come il Tribunale del riesame abbia:
- omesso di motivare adeguatamente la finalità probatoria del sequestro;
- illegittimamente assimilato i Bitcoin a valuta avente corso legale, senza considerare la loro natura di asset digitale soggetto a fluttuazioni di mercato;
- operato un sequestro per equivalente, sebbene il provvedimento fosse stato disposto come sequestro probatorio, creando un evidente cortocircuito logico-giuridico.
La Corte ha quindi annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze per un nuovo esame della vicenda.
La decisione della S.C. segna un punto fermo sulla distinzione tra moneta avente corso legale e criptovalute, ribadendo che il valore di queste ultime non può essere automaticamente equiparato a quello della valuta corrente ai fini del sequestro probatorio.
Tutto ciò mette bene in evidenza la necessità di una motivazione puntuale nei provvedimenti cautelari, specie quando riguardano strumenti finanziari innovativi e non pienamente regolamentati dal diritto positivo.
Il tema rimane senz’altro aperto, in attesa di un adeguato intervento legislativo che possa fornire una disciplina chiara e univoca sull’inquadramento giuridico degli asset digitali nel sistema penale e tributario italiano.
Per approfondire:
- Cass. pen., III sez., sent. 15 gennaio 2025, n. 1760
Anna Esposito
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