Sull’efficacia probatoria delle copie analogiche di documenti informatici e il loro disconoscimento

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Un documento informatico può essere provato con una copia analogica che sia conforme all’originale, a meno che questa conformità non venga specificamente contestata. Non basta denunciare il deposito di una semplice copia o la sua insufficienza probatoria per contestare la conformità, ma occorre farlo in modo esplicito e riferito all’originale.

Un avviso di addebito per contributi IVS era stato impugnato dal protagonista della vicenda che è arrivata fino alla Suprema Corte. Tuttavia, la sua opposizione non aveva avuto successo né in primo grado né in appello, dove i giudici avevano ritenuto tardiva l’impugnazione e infondata la contestazione del ricorrente sulla validità della notifica dell’avviso. In particolare, i giudici di appello non avevano considerato invalidante il fatto che la notificazione tramite PEC avesse come allegato un file .pdf senza l’estensione “.p7m”. Il ricorrente si rivolgeva quindi alla Cassazione lamentando come i giudici di merito avessero erroneamente accertato la prova della notifica dell’avviso di addebito, basandosi sulla stampa di una copia informale del certificato di avvenuta consegna della PEC.

I giudici di legittimità fanno invece riferimento alla norma contenuta all’art. 23, comma 2, d. lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale) che disciplina le copie analogiche di documenti informatici e stabilisce che esse hanno lo stesso valore probatorio dell’originale «se non ne viene contestata espressamente la conformità». Tuttavia, nel ricorso in Cassazione non si indicava in che modo la contestazione fosse stata formulata in primo grado, mancando così il requisito di specificità previsto dall’art. 366, n. 4 c.p.c.

La Corte ha chiarito che il disconoscimento di un documento deve essere effettuato entro la prima udienza o nella prima risposta successiva all’acquisizione processuale del documento (Cass. 9526/2010) e deve riguardare specificamente la conformità della copia all’originale. Non basta quindi contestare il deposito di una “mera copia” o sostenere genericamente la sua inidoneità probatoria, perché queste sono affermazioni diverse dal disconoscimento e non lo sostituiscono. Inoltre, il disconoscimento non può essere sollevato per la prima volta con il ricorso in Cassazione, in quanto si tratta di un’attività da esercitare nel grado in cui il documento sia stato depositato.

Un altro motivo d ricorso contestava la validità della notifica effettuata da una PEC non registrata in nessun elenco pubblico. La Suprema Corte ha rilevato che tale questione non era stata affrontata nella sentenza impugnata e ha richiamato il principio secondo il quale “quando con il ricorso per cassazione si sollevano questioni assenti nella sentenza impugnata, spetta alla parte ricorrente, per evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della censura, non solo di dimostrare di averle proposte davanti al giudice di merito, ma anche, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di precisare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Suprema Corte di verificare “ex actis” la veridicità di tale affermazione prima di esaminare il merito” (Cass. civ. n. 20694/2018; Cass. civ. n. 15430/2018; Cass. civ. n. 23675/2013).

Questo il principio di diritto enunciato:

Le copie analogiche di un documento informatico hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale salvo che la loro conformità venga espressamente disconosciuta. La denuncia dell’avvenuto deposito di una mera copia e/o della sua generica inidoneità probatoria non integrano gli estremi per tale disconoscimento, che deve espressamente riguardare la conformità della copia all’originale”.

 

Riferimenti:

Cass. civ., sez. VI – L, ord. 6 marzo 2023, n. 6569