La Corte di Cassazione ha emanato ieri, 15 aprile 2024, una interessantissima sentenza sull’integrità e la provenienza dei documenti allegati alle PEC.
In primo grado il Tribunale rigettava la domanda di insinuazione al passivo di un credito per canoni d’affitto d’azienda, ritenendo che il contratto di affitto non avesse data certa e fosse, quindi, inopponibile alla procedura fallimentare della società affittuaria. Nello specifico, il Tribunale ha rilevato che l’invio di una richiesta di pagamento dei canoni insoluti tramite PEC, pur conferendo una data certa alla comunicazione, non attribuisce automaticamente data certa anche al contratto di affitto d’azienda, citato nella lettera ma non allegato alla stessa. In giudizio, non era stata fornita prova che il contratto fosse stato effettivamente incluso nella comunicazione PEC.
La società creditrice ha impugnato il decreto di rigetto dell’insinuazione al passivo davanti alla Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha richiamato una propria precedente pronuncia in una questione analoga, affermando che «la posta elettronica certificata dimostra l’invio e la ricezione del messaggio, ma non garantisce il contenuto del documento allegato. Non si può, in altri termini, dalla circostanza che la posta elettronica è certificata, dedurre che anche il documento allegato lo è, o meglio, che quel documento è riferibile al suo autore, e che ha effettivamente quel contenuto» (Cass. n. 32165/2023).
La Corte ha dunque ribadito che l’invio di un documento tramite PEC attesta solo la trasmissione e ricezione del messaggio, ma non l’autenticità o l’efficacia del documento allegato. La PEC può attestare in maniera certa la trasmissione e ricezione del messaggio, le modalità di spedizione (data, ora e formato) e il contenuto della PEC stessa, ma non del file allegato.
La Suprema Corte ha sottolineato che, per dimostrare “la provenienza del documento e la sua integrità”, il mittente deve inviare il documento tramite PEC o comunque disporre di quel documento debitamente sottoscritto con firma digitale. Pertanto, per i Giudici di legittimità il Tribunale ha errato nel ritenere che l’integrità e la provenienza del documento potessero essere dimostrate con la semplice produzione in giudizio dello stesso in formato elettronico.
La Corte non ha condiviso l’assunto del Tribunale secondo cui la semplice menzione di un contratto all’interno di una comunicazione inviata tramite PEC conferisse data certa a tale contratto, senza la necessità di allegare il contratto stesso. Mentre invece ha concordato con il Tribunale sul fatto che la prova del rapporto non poteva essere desunta dalle fatture emesse trattandosi di documentazione formata unilateralmente dal creditore.
Neppure era probante, poi, la circostanza del pagamento di importi corrispondenti a quelli indicati nelle fatture da parte della fallita in bonis, poiché ciò avrebbe dimostrato l’esistenza di un rapporto tra le due società, ma non che la fonte di tale rapporto fosse il contratto di affitto d’azienda.
In conclusione, secondo la Corte di Cassazione, una parte che intende far valere una pretesa fondata su un contratto deve dimostrare l’integrità e la provenienza del documento, munendolo di una data certa (ad esempio, attraverso l’apposizione di una firma digitale certificata), in modo autosufficiente, senza che il mero invio del documento contrattuale tramite PEC soddisfi tale onere probatorio.
Per approfondire:
- Cass. civ., sez. I, ord., 15 aprile 2024, n. 10091
Daniele Giordano
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