A porsi questa domanda è Nicola Nappi, in una sua recente pubblicazione su Filodiritto alla luce della recente sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia europea n° C-128/11 del 3 luglio 2012, nota ai piú come “Caso Oracle”.

La scelta di individuare la giusta tutela dei programmi per elaboratore è stata caratterizzata da un lungo e vivace dibattito dottrinale, sfociato anzitutto nella esclusione del software dal novero delle invenzioni suscettibili di essere brevettate, avvenuta nell’àmbito della Euopean Patent Convention di Monaco di Baviera, e poi, successivamente, anche nell’entrata in vigore della direttiva 1991/250/CEE, che all’art. 1 stabiliva che <<gli Stati membri tutelano i programmi per elaboratore mediante il diritto d’autore, come opere letterarie ai sensi della Convenzione di Berna sulla tutela delle opere letterarie ed artistiche>>.
Basta però guardare con attenzione l’immagine poco più sopra, ed inevitabilmente sorge qualche dubbio se effettivamente quell’insieme di codici possa essere definito, secondo il senso comune, un’opera artistica. Sostenere dunque che i software costituiscano entità perfettamente omologabili alle opere letterarie, suscita non poche perplessità.
Il Diritto d’autore, dunque, non sembrerebbe oggi rappresentare il mezzo di tutela piú adatto per il software. Né sembrerebbe opportuno ricercare analogicamente una tutela maggiormente adattabile da novellare. Parrebbe opportuno, piuttosto, sulla base delle considerazioni appena fatte, creare una forma di tutela ad hoc, senza assimilare il software né alle opere dell’ingegno, né tantomeno a quelle dell’industria, creando bensí una nuova categoria.
Nicola Nappi
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