Con il D.lgs. 173/2021 si è data attuazione in Italia alla Direttiva (UE) 770 del 2019, che si occupa dei contratti di fornitura di contenuti digitali o di servizi digitali stipulati tra consumatori e venditori. Il legislatore europeo con non poco realismo ha finalmente preso atto del fatto che i dati personali degli utenti possono ben essere la remunerazione del servizio digitale che viene offerto agli utenti stessi senza che essi elargiscano un corrispettivo in denaro.
Come ben sappiamo, l’attuale ecosistema digitale pone le sue radici nello sfruttamento intensivo ed indiscriminato delle informazioni e dei dati personali. Nel corso dell’ultimo decennio, la struttura dei mercati di contenuti e servizi digitali é andata convergendo verso situazioni di oligopolio, decretando così l’accrescimento esponenziale del potere di mercato di pochi, ma potentissimi attori privati.
Il risultato è la concentrazione del potere di controllo dei flussi d’informazione nelle mani delle big del tech, circostanza che facilita il consolidamento di un modello di business basato sulla profilazione e addirittura manipolazione delle persone (si pensi, al riguardo, al caso di Cambridge Analytica).
Ebbene, il legislatore europeo, come detto, ha fatto un primo importante passo. In fase di attuazione, però, per il momento ad essere coinvolta è la sola disciplina consumeristica. In chi scrive però, è forte la convenzione che piuttosto a rendersi necessario sia un intervento coordinato delle autorità della protezione dei dati, della protezione dei consumatori e della concorrenza, che tenga conto delle sinergie comuni alle diverse aree di regolazione.
Nicola Nappi
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